Agrivoltaico: soluzione win-win

L’agrivoltaico è una risposta per far convivere due esigenze fondamentali del nostro tempo: la necessità di energia pulita e la tutela del suolo agricolo.

Scelte per investire nel settore agrivoltaico

L’agrivoltaico non solo può preservare tutta o quasi tutta la produttività agricola di un terreno, ma può anche convincere gli agricoltori a non abbandonare la propria attività, grazie all’integrazione del reddito che consente, e può persino proteggere i suoli dall’erosione, migliorando la loro ritenzione idrica e aiutando a difendere le colture da eventi estremi, come grandine, ondate di calore o siccità.

Mentre in Italia infuriano le polemiche contro il fotovoltaico da parte di alcune associazioni di agricoltori, prima fra tutte Coldiretti, nel resto del mondo si scopre che l’agrivoltaico può addirittura essere una manna per agricoltori e suoli agricoli.

Secondo una ricerca promossa dalla Iea dal 2012 al 2021, l’agrivoltaico è passato da 5 a 14 GW a livello globale, e sicuramente in questi ultimi quattro anni di esplosione delle installazioni la potenza sarà ancora cresciuta di molto. Nel 2025, per esempio, è iniziata la costruzione di un impianto agrivoltaico da 2 GW in Cina, pensato per rivitalizzare un’area di suolo desertico.

L’agenzia, nel testo di circa 90 pagine rivolto a chi vuole provare a investire in questo settore, sottolinea però anche varie difficoltà da superare come la necessità di chiarire definizioni, obiettivi e aspettative tra i vari attori coinvolti, visto che energia e agricoltura seguono logiche e linguaggi molto diversi e, soprattutto, saper scegliere, fra i tanti sistemi di agrivoltaico, quello più adatto al tipo di coltura e al contesto climatico locale.

Configurazioni per l’Europa

In Europa è stata testata la resa agricola di varie colture, la produzione elettrica e i tempi di ritorno economici di pannelli FV bifacciali, in impianti agrivoltaici di tre diverse tipologie in Svezia, Danimarca, Germania e Italia (nelle province di Piacenza e Potenza), così da creare una griglia di risultati che possa indirizzare chi vuole fare questa scelta (in alto un’immagine tratta dallo studio).

I tipi di impianti scelti sono: tracking monoassiale (file di pannelli su strutture mobili che seguono il movimento del sole da est a ovest, posti fra le colture), verticale (i pannelli sono piantati a terra formando file verticali nord-sud, un po’ come delle palizzate fra i filari), sistemi a “pergola” (montati ad altezze superiori ai due metri sopra le colture, per lasciare spazio al passaggio di macchinari, e dotati di sistemi di orientamento).

I sistemi verticali sono molto economici, ma rendono meno dove il sole si alza molto nel cielo e conviene raccoglierne la luce con superfici parallele al suolo.

I sistemi a tracking monoassiale sono costosi, ma anche molto produttivi in termini di generazione elettrica, soprattutto dove di sole ce n’è molto ed è alto nel cielo; il loro problema è che devono distanziarsi molto fra loro per non farsi ombra e non farne troppa sulle piante.

Al contrario i sistemi “a pergola”, che si trovano sopra le piante, possono coprire percentuali più vaste del campo, regolando l’ombreggiatura del terreno con precisione e proteggendo all’occorrenza le piante sotto. Anche i loro costi sono elevati.

Ogni configurazione presenta quindi caratteristiche tecniche e costi diversi, che influenzano la scelta in base al tipo di coltura, alla latitudine e al contesto economico locale.

Risultati nei diversi Paesi

I risultati ci dicono che in Svezia e Danimarca, dove l’irradiazione solare è minore e il sole resta basso tutto l’anno, i sistemi verticali sono i più redditizi. L’agrivoltaico verticale è risultato molto redditizio in Danimarca, per gli alti prezzi locali di vendita dell’elettricità.

In Germania le cose cambiano: grazie a una maggiore insolazione e altezza del sole, i sistemi elevati diventano più vantaggiosi dei verticali, nonostante i costi iniziali più alti.

“In Italia, a Piacenza, e ancora più a Potenza, il sistema con tracking monoassiale ha evidenziato la migliore performance produttiva, con 1700 e 2000 kWh/kW, contro i 1200 in Svezia. Con un Lcoe inferiore del 20-30% rispetto agli altri modelli, il monoassiale ha anche mostrato un tempo di recupero degli investimenti più breve. La maggiore irradiazione solare da noi contribuisce significativamente alla redditività di questi sistemi”, spiega il ricercatore.

Visione progettuale

In tutti i casi il guadagno derivante dalla produzione energetica si è rivelato nettamente superiore a quello agricolo. Tuttavia, la combinazione delle due attività migliora la sostenibilità complessiva e offre una doppia fonte di reddito che può rivelarsi preziosa per molti agricoltori.

Ma i vantaggi sono evidenti anche dal punto di vista ambientale e agronomico. L’ombreggiamento parziale dei moduli fotovoltaici, per esempio, può ridurre lo stress idrico e termico nelle colture, migliorando le rese nei mesi più caldi: un problema sempre più grave nel sud Europa.

I vantaggi sono  significativi anche per i moduli fotovoltaici: la presenza delle colture sotto ai moduli li può raffreddare, aumentando l’efficienza di conversione energetica. L’integrazione fra i due metodi di sfruttamento del suolo evita anche i conflitti tra destinazione agricola e industriale dei terreni, mentre contribuisce alla riduzione delle emissioni in agricoltura”.

Nello sviluppo di un impianto agrivoltaico, prima di tutto l’attenzione va rivolta a cosa si vuole coltivare sotto gli impianti: non tutte le colture rispondono allo stesso modo all’ombreggiamento. Ad esempio, erba medica, zucche e zucchine, orzo e frumento, possono produrre addirittura di più al di sotto dei pannelli che senza, in alcuni casi fino al 110%. Al contrario, fra le colture che abbiamo finora considerato, lattuga, barbabietola e patate scendono di un 20% di produzione, mentre la soia cala fin a quasi il 30%”, avverte il ricercatore.

Aspetti economici e normativi

Bisognerebbe che tutti i paesi europei emettessero regolamenti chiari e incentivi per l’agrivoltaico. A fronte dei suoi numerosi vantaggi, si tratta ancora di scelte piuttosto costose, soprattutto se si opta per i sistemi mobili, che senza aiuti pubblici potrebbero non risultare convenienti. In media, simulando impianti fotovoltaici normali o agrivoltaici di pari potenza nelle varie situazioni europee, abbiamo constatato come i primi rientrino dell’investimento molto più rapidamente.

Fra gli impianti agrivoltaici, in media, i sistemi monoassiali hanno un rientro dell’investimento di circa il 20% più breve rispetto al verticale e del 25% rispetto alle “pergole”, grazie alla loro maggiore produzione di elettricità solare.

E oltre agli incentivi sarebbero utili anche programmi dedicati per informare gli agricoltori e le comunità locali sui benefici di questi impianti ancora così insoliti, così da evitare fraintendimenti e resistenze spesso del tutto immotivate.

Resistenze che noi in Italia non ci facciamo certo mancare, con i tanti Comitati del No contro l’agrivoltaico che sorgono nella penisola. Ma contro quale severa minaccia, facciamo fatica a capirlo…

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