Si tratta di un modello di aggregazione e di business incentrato su investimenti, gestioni e approvvigionamenti energetici comuni da parte di soggetti aziendali solitamente di grosse dimensioni, desiderosi di svincolarsi dalle montagne russe che i mercati energetici stanno attraversando.
Non è quindi una comunità energetica, non è una comunità dell’energia rinnovabile, e non è neanche un rapporto contrattuale tipo PPA. Si tratta invece di una società consortile di produttori-consumatori aziendali riuniti in una “community”, i cui obiettivi sono la stabilizzazione dei costi dell’energia, l’autoconsumo e la sostenibilità, senza vincoli di territorialità, quindi con impianti di generazione anche geograficamente lontani dal luogo di consumo.
È questa in sintesi la configurazione creata a inizio anno da Epq e Dolomiti Energia Trading, che hanno dato a questa nuova “creatura” energetica d’impresa il nome di Renewability.
Come funziona
Renewability, come partner tecnico, si occupa della creazione di nuovi impianti fotovoltaici multi-megawatt, dallo sviluppo all’allaccio. Gli impianti confluiscono nella società consortile, fornendo quota parte dell’energia generata ai suoi soci, che diventano a tutti gli effetti produttori-consumatori di elettricità solare per la durata dell’impianto, quindi per 25-30 anni circa.
“Dal momento in cui questi impianti entrano in esercizio, l’energia, per la quota parte che hanno investito, è gratis”, ha detto a QualEnergia.it Sarah Jane Jucker, presidente del consiglio di amministrazione di
Renewability e managing partner di Epq.
Nel corso della vita dell’impianto i soci ricevono solo fatture periodiche per le spese di gestione senza pagare niente per l’energia, poiché sono essi stessi co-proprietari dell’impianto e della sua elettricità, grazie alla spesa capitale iniziale, che costituisce appunto il loro investimento nell’impianto.
“L’esigenza nasce per rispondere a una richiesta di decarbonizzazione da parte delle imprese che volevano andare verso progetti di rinnovabili, ma che non avevano in casa le competenze per farlo, perché farsi un impianto fotovoltaico è oneroso in termini di tempo, di risorse, di competenze. Le aziende continuano a svolgere il loro business e nel frattempo possono investire in rinnovabili senza doversene occupare direttamente”, ha detto Jucker.
Solitamente i clienti aziendali che si rivolgono a Renewability hanno già fatto tutto quello che potevano fare, coprendo con moduli fotovoltaici tutti i tetti e i terreni disponibili a casa propria. Ma in una fase in cui la riduzione dei costi energetici non basta mai e in cui tutti sono alla ricerca di forme di auto-approvvigionamento di energia, una soluzione del genere consente di rendersi ulteriormente autonomi da un mercato in cui i prezzi sono schizzati alle stelle.
“Attraverso l’impegno con Renewability, diventano proprietari di asset addizionali, danno un contributo concreto al sistema, garantendosi una stabilizzazione dei costi a livelli che oggi sono molto competitivi rispetto al mercato”, ha detto la manager.
Le società che hanno partecipato alla prima aggregazione sono grandissimi energivori, come AFV Acciaierie Beltrame, gruppo siderurgico nel mercato del laminato mercantile, Altair Chimica, specializzata nella produzione e commercializzazione di prodotti per l’industria della chimica inorganica, e un’ importante società del settore chimico-farmaceutico.
Visto il loro ingente fabbisogno, Renewability copre una quota non preponderante del loro consumi, inferiore mediamente al 20%, spiega la manager.
Differenze con i PPA
I contratti privati di compravendita di energia o power purchase agreement (PPA) “possono essere iniziative complementari ma sono sicuramente diverse” rispetto a una community come Renewability, ha detto Jucker.
In primo luogo, i PPA sono oggi caratterizzati da prezzi di mercato molto più alti di un paio di anni fa (vedi Prezzi dei PPA da rinnovabili raddoppiati in un anno in Europa: 107 euro/MWh a settembre), e in questo senso offrono una riduzione dei costi energetici inferiore per chi li sottoscrive. Ma ci sono altre differenze fondamentali.
“I PPA sono dei contratti con una controparte, mentre una community di prosumer aziendali non corre alcun rischio di controparte, perché questa non c’è. In altre parole, con un PPA si fa un contratto di 10 anni con un produttore di energia aspettandosi che venga onorato per tutta la durata dell’accordo, ma in realtà nessuno può dire se quel produttore fra 10 anni sarà ancora sul mercato”, ha spiegato la managing partner di Epq, che partecipa al consorzio non come co-proprietario ma solo per coordinare l’attività.
L’altra differenza è che con un PPA, la cui durata massima tende a essere di 10 anni, ma spesso è inferiore, alla fine del periodo il cliente aziendale ritorna alle condizioni originarie, per cui dovrà trovare nuove fonti di approvvigionamento e ripartire da capo.
“Una community come Renewability è invece un progetto a lungo termine in cui per tutta la vita degli impianti, quindi 25-30 anni, si può disporre di una soluzione propria, con un impianto pagato ex ante e che poi garantisce una maggiore continuità di servizio e copertura dei consumi”, ha sottolineato la presidente della community, che dispone attualmente di 5 impianti fotovoltaici per complessivi 24 MW distribuiti fra Lazio e Abruzzo.
Renewability consente insomma di diversificare maggiormente gli approvvigionamenti rispetto al mercato, mentre i PPA riflettono le condizioni prevalenti di mercato e questa è una differenza sostanziale, secondo la manager.
Differenze con le comunità energetiche
Le differenze fondamentali di questo tipo di community rispetto alle altre comunità energetiche sono quella della territorialità e della dimensione dei soggetti partecipanti.
“La comunità energetica oggi è concepita sul territorio. In futuro potrà forse cambiare, ma oggi è legata al mondo delle piccole e medie imprese, ed è comunque territoriale”, ha spiegato Jucker.
In linea di principio si potrebbe entrare in Renewability ed essere parte anche di una comunità energetica, ma la due realtà correrebbero su binari separati destinati a non incrociarsi, poiché la comunità energetica avrà sempre il vincolo di abbracciare il territorio dell’azienda, secondo la manager.
“Invece con Renewability un impianto può anche essere in Sicilia e il socio del consorzio in Lombardia. Come consorziato beneficia comunque di un impianto che lavora 2.000 ore l’anno invece delle 1.200 dell’impianto su un tetto in nord Italia”, ha detto.
Uno dei grandi vantaggi di questa configurazione è quindi che va a superare completamente tutti i vincoli territoriali.
Possibili punti deboli
Il successo evolutivo di questa nuova specie di “animale energetico” dipenderà soprattutto dall’andamento dei prezzi dell’elettricità. Finché i prezzi di mercato saranno superiori ai fattori economici di Renewability, questo progetto dovrebbe continuare a suscitare interesse.
“Giusto per dare un’idea, il costo complessivo che un consumatore sostiene in Renewability è attorno ai 70 euro al MWh, con gli impianti già messi a terra, rispetto ad un prezzo dell’energia che è fra i 300 e 400 euro a MWh”, ha spiegato Juncker.
Se i prezzi dell’energia elettrica dovessero scendere sotto quei livelli, ci si potrebbe dimenticare quello che si è vissuto, però in questo momento vediamo che le aziende stanno pagando caro questo mercato e hanno compreso di doversi rendere in qualche modo autonome, almeno in parte, diversificando le proprie fonti di approvvigionamento”, ha aggiunto.
E in una logica di diversificazione, un modello come questo, che fa della prevedibilità dei costi nel lungo periodo uno dei suoi punti di forza, potrebbe mantenere un suo valore.
Essere coperti da investimenti propri, non soggetti alle volatilità dei mercati, per una parte degli approvvigionamenti potrebbe quindi continuare ad avere un suo appeal, proprio per il fatto di poter uscire, almeno parzialmente, ma per molto tempo, dalle montagne russe del mercato.
Fonte articolo on-line magazine QualEnergia.it